Occupazione a Genova e in Liguria: alcuni spunti di riflessione
di Giovanni Facco.
I seminari “ di Venerdi” sono ripresi; mercoledi 22 novembre si è parlato di lavoro e di occupazione con specifico riferimento a Genova; sono stati presentati in modo analitico i dati relativi al 2016.
Qualche giorno fa la Banca d’Italia nel suo ultimo bollettino regionale dedicato alla Liguria ha fatto il punto sul primo trimestre 2017; questa in sintesi la diagnosi…” Secondo l’Istat, nel primo semestre del 2017 in Liguria la diminuzione degli occupati è proseguita (-1,8 per cento), riducendo il numero di lavoratori al di sotto delle 600.000 unità; nello stesso periodo sia il Nord Ovest, sia l’Italia hanno conseguito un incremento dello 0,8 per cento. Data la sostanziale invarianza, per il terzo anno consecutivo, dell’occupazione dipendente, la situazione del mercato del lavoro è stata determinata dall’evoluzione dei lavoratori autonomi, che hanno registrato una significativa riduzione. Vi si è accompagnata la contrazione della componente femminile, calata – come nell’anno precedente – a un tasso prossimo al 4 per cento”….. situazione tra le peggiori; in Liguria tutti i settori perdono occupazione ( costruzioni -5.000, commercio -12.000, altri settori -1.000) recupera il settore manifatturiero, +16.000.
Viene presentata in modo sintetica la situazione 2016 a Genova ( non sono disponibili i dati del 2017, dati verranno resi disponibili a gennaio-febbraio 2018 ).
Quanti e quali caratteristiche hanno gli avviati al lavoro a Genova ? Nel 2016 sono stati avviati a Genova ( dati Inps) 112.000 unità, i cessati per tutte le cause sono stati 105.600 quindi un saldo positivo di poco più di 6.000 unità; di queste solo il 19% ( 21.000) è stato avviato con contratto a tempo indeterminato mentre l’81% è stato avviato con contratto a tempo; il 64% degli avviati ha un titolo di studio scuola dell’obbligo e solo il 7, 5% ( pari a 8.500 ) con titolo di laurea. Inoltre gli avviati sempre a Genova dal 2012 al 2016 sono complessivamente diminuiti di circa -10.000 unità.
Quali sono i settori produttivi che hanno assorbito questa occupazione? Il settore alloggio e ristorazione con circa 24.000 avviati è il più attrattivo; segue il trasporto con 21.000, il commercio con 11.000, noleggio e viaggi con 10.000 e la manifattura con 9.000. Gli avviati con contratto di lavoro di durata superiore ai 6 mesi sono un pò meno del 40%; si tratta di lavoro a tempo, di brevissima durata, prevalentemente precario; le trasformazioni dei contratti a tempo in contratti a TI hanno % molto basse; i laureati avviati con contratto di durata superiore a 6 mesi sono circa 7.000 quasi il 60% ( nella manifattura, nelle attività professionali e tecniche tale % arriva quasi al 70%); uno scarto molto significativo, che conferma che il titolo di studio fa ancora la differenza ed è una buona garanzia. Inoltre tra i 112.000 avviati circa 86.000 sono italiani e 28.000 sono stranieri; da notare che i residenti stranieri in città sono circa 54.000 ( dati del 2015); gli stranieri hanno quindi hanno un tasso di occupabilità molto più alto degli italiani, in linea con la situazione italiana. ( vedi grafico delle fondazione Hume)
Che cosa emerge da questi primi dati? I dati occupazionali del 2016 complessivamente non modificano lo scenario degli ultimi 4 anni; evidenziano un mercato del lavoro genovese e ligure per niente dinamico, con volumi occupazionali in discesa (-10.000 avviati negli ultimi anni), povero dal punto di vista professionale ( i primi 10 profili professionali richiesti dalle imprese riguardano lavoro di basso profilo professionale es camerieri, commessi, personale di pulizia, magazzinieri, cuochi, baristi, addetti spostamento merci, marinai di coperta, operai generici ecc ), lavoro instabile e incerto dato dalla massiccia presenza di contratti a tempo di durata molto breve e con rotazione molto alta. Una situazione questa che si riscontra anche in altre regioni del Nord ma che in Liguria e a Genova ha una sua intensità maggiore.
Questa situazione da che cosa è determinata? dal mercato del lavoro, dalla scuola, dalla mancanza di formazione specifica? Questo quadro è determinato prevalentemente da un sistema produttivo le cui caratteristiche sono ormai note: presenza massiccia di micro imprese , poco orientate all’export, scarsamente complesse dal punto di vista tecnico-organizzativo e gestionale , poco innovative e poco orientate al cambiamento, carenza e staticità per non dire preoccupazione per le poche grandi imprese esistenti sul territorio; questa “artrosi produttiva” riguarda tutti i settori salvo qualche leggera differenza.
Imprese con tali caratteristiche e connotati non possono produrre o generare un mercato del lavoro dinamico, effervescente! Il mercato del lavoro, semplificando, è l’immagine riflessa di quello che sono le imprese. Si leggono ormai molto frequentemente sui media dichiarazioni o analisi semplificate o addomesticate orientate ad attribuire la “colpa “ di questa situazione alla mancanza di flessibilità del mercato del lavoro, alla carenza di formazione delle risorse, al fatto che non si trovano le specializzazioni che le imprese cercano. Le cose non stanno affatto cosi. Sono le imprese che creano il lavoro e non viceversa….Sono ormai più di venti anni che il nostro paese non attiva politiche economiche orientate allo sviluppo del settore produttivo, non con interventi diretti (non più possibili per regole comunitarie ) ma creando le condizioni “di contesto “ perché il business si sviluppi. E’ da poco più di un anno che un ministro serio come Calenda ha impostato bene il giusto percorso… ma per avere risultati ci vorranno tempi lunghi. Per dare una idea, il sistema produttivo è come un eco sistema devastato qua e la da incendi e frane; prima di vedere rinascere un bosco e un sottobosco devono passare decenni… scorciatoie non ce ne sono. E chi promette soluzioni a breve “ è un venditore di fumo “.
Perché questa situazione? Le concause sono molteplici, le più significative: il crollo dell’IRI ha desertificato il territorio ( ma ormai è fatta ! ) ; le grandi imprese in Italia sono poco più di 500; molta delocalizzazione produttiva ( oltre 30.000 aziende ) è attivata da quelle imprese che cercano di guadagnare qualche punto con prodotti maturi e poco competitivi che richiedono competenze low skill e salari più bassi ; la caduta degli investimenti negli ultimi 10 anni, la difficoltà di accedere al credito, le dimensioni ridotte delle imprese, poco export….bassa scolarizzazione degli occupati, poca innovazione e poca ricerca….queste sono le criticità sulle quali chi governa un paese , un territorio deve con forza intervenire. Lavorando con determinazione e competenza su tali criticità strutturali nel medio termine si potranno ottenere risultati credibili: occupazione più qualificata e di medio alto profilo ( quindi con meno rischi) e una crescita dell’occupazione ( volumi) che si avvicina a quella di altri paesi europei.
Va ricordato che il tasso di occupazione italiano è del 58% , 15 punti in meno della Germania, 7 in meno della Francia, 12 in meno del Regno Unito… per non parlare del tasso di crescita annua per il nostro paese di qualche 0,…% gli altri tra il 2-4%. Va ricordato inoltre che è ormai da 20 anni il tema dell’occupazione è appannaggio quasi esclusivo dei giuristi e degli specialisti del diritto del lavoro.. che ritengono o pensano che basti cambiare le regole del lavoro per creare occupazione!!! Sull’efficacia delle norme, compreso il job act, e sulla loro concreta ricaduta occupazionale va fatta una operazione di chiarezza perché ci sono molte false ed esagerate informazioni a proposito …. Ma di questo si parlerà nel prossimo numero.
Un approccio pessimistico? Una buona terapia richiede una corretta e approfondita diagnosi. Una terapia “ qualsiasi “ tanto per… non serve e non da risultati. Se i paesi nostri competitors ce l’hanno fatta e hanno portato concreti risultati ( che verranno documentati nel prossimo numero) non si capisce perché noi non ce la possiamo fare! Basta copiare!! La speranza nasce anche dalla necessità di trovare soluzioni a concrete e future minacce; alle variabili sopra individuate ne va aggiunta un’ altra: l’innovazione tecnologica e gestionale viaggia a velocità rapida, si diffonde, distrugge lavoro ma ne crea anche tanto nuovo; ma bisogna essere pronti a prendere il treno giusto quando passa. Genova può avere una grande opportunità da cogliere, ma come evidenziato, ha ancora una composizione della forza lavoro con un basso profilo professionale (gli avviati con titolo scuola dell’obbligo rappresentano il 64%, i laureati il 7,5% e molti profili professionali sono low skill ), occupazione con elevato rischio di essere “bruciata” dalla corsa tecnologica senza riuscire, se non si attuano le strategie produttive necessarie e prima evidenziate a saltare in tempo sul treno dell’innovazione e del cambiamento. Genova non permettersi di perdere una altra sfida/opportunità. Bisogna solo svegliarsi! ( continua nel prossimo numero)