I settori produttivi in Liguria e a Genova – di Giovanni Facco, direttore de “Di Venerdì”
Nel numero precedente della new letter si era fatto un punto sull’andamento dell’occupazione nella Regione ; sinteticamente l’ Istat con riferimento al 1° semestre 2017 in sintesi dice . “…nel primo semestre del 2017 in Liguria la diminuzione degli occupati è proseguita (-1,8 per cento), riducendo il numero di lavoratori al di sotto delle 600.000 unità; nello stesso periodo sia il Nord Ovest, sia l’Italia hanno conseguito un incremento dello 0,8 per cento. Data la sostanziale invarianza, …., dell’occupazione dipendente, la situazione del mercato del lavoro è stata determinata dall’evoluzione dei lavoratori autonomi, che hanno registrato una significativa riduzione…. accompagnata da una contrazione della componente femminile, diminuita di un 4 per cento”.
Domanda: perché non cresce l’occupazione? Ma anche chi crea il lavoro.? Se notate bene i media, i politici, i giornalisti quando parlano di lavoro sviluppano solo la componente relativa all’offerta, cioè a chi lavora o chi cerca lavoro con particolare attenzione agli gli aspetti contrattuali , agli incentivi, ai titoli di studio, alla precarietà e altri aspetti. Aspetti questi senz’altro importanti ; ma quasi tutti dimenticano di affrontare l’altra faccia della medaglia: cioè chi crea lavoro e piaccia o no il lavoro lo creano gli imprenditori , compreso l’imprenditore Stato.
Da oltre 20 anni il tema del lavoro è quasi un monopolio dei giuristi che affrontano la problematica occupazionale quasi solo dal punto di vista contrattuale –normativo; hanno sempre affermato che le norme sul lavoro andavano semplificate, che il nostro sistema frenava l’interesse delle imprese straniere ad investire in Italia e tante altre cose. Aspetti questi in parte veri e da affrontare, ma andavano declinati assieme altri fattori maggiormente strutturali del sistema produttivo ( es: dimensione delle imprese, gli investimenti, la ricerca, la tecnologia, la struttura dei prodotti, la bassa qualificazione/ skill delle risorse umane, la scolarizzazione, l’export …) insomma è mancato una visione sistemica dei problemi e un piano per attuarlo. L’aspetto normativo è relativamente facile da affrontare ( sono norme, leggi ) con tempi veloci e rapidi ( aspetti questi che interessano i politici perché sono spendibili in termini di risultati. I fattori strutturali sono molto più complessi, richiedono molto tempo, e i risultati sono a medio termine forse anche poco spendibili politicamente vista la durata dei nostri governi . Dal 2008 la caduta degli investimenti ha superato i 100 miliardi di euro; il sistema bancario ha concesso credito alle imprese con il contagoccie e moltissime imprese hanno dovuto chiudere i battenti: Le imprese industriali e quelle del terziario hanno dedicato i loro sforzi cercando in primis di sopravvivere.
Allora chi crea lavoro? Il lavoro lo creano solo le imprese pubbliche e private, la Pubblica Amministrazione, il lavoro autonomo.
Le imprese pubbliche e private danno lavoro a 14,5 milioni circa di persone; la Pubblica Amministrazione da lavoro a circa 3,2 milioni ; e infine il lavoro autonomo a circa 5,4 milioni. Questi 3 macro settori hanno andamenti molto differenziati: il lavoro autonomo da anni è in costante diminuzione, molte volte viene utilizzato come un parcheggio transitorio in attesa di trovare un posto di lavoro da dipendente; e inoltre il lavoro autonomo in Italia ha un peso di gran lunga superiore rispetto agli altri paesi; in futuro quindi non è destinato a creare ma al massimo a stabilizzarsi.
La Pubblica Amministrazione è destinata a diminuire e a perdere qualche punto di percentuale, almeno questa è la previsione che viene fatta nei documenti ufficiali di finanza pubblica; la PA avrà nei prossimi anni un elevato ricambio di risorse ma l’occupazione non crescerà, ma semplice si rimpiazzeranno parte delle uscite ; la PA avrà necessità di creare efficienza attraverso profondi processi di informatizzazione e di razionalizzazione ma complessivamente la spesa pubblica dovrà diminuire; nei confronti con gli altri Stati l’Italia evidenzia ampie sacche di inefficienza.
Rimane pertanto il settore produttivo privato e pubblico : agricoltura, industria e terziario ( escludendo la PA) che dal punto di vista teorico non hanno limiti alla crescita e all’espansione.
Complessivamente il nostro paese da lavoro a circa 23 milioni di unità e il tasso di occupazione è del 58% circa; l’ UE dei 28 ha un tasso di occupazione del 67%; la Germania del 74,3%; la Francia del 65%; la Polonia del 64,5%; la Svizzera del 80%; noi siamo gli ultimi , per la precisione dopo di noi vi è solo la Turchia con un 52%, ma la Turchia va molto veloce.
Ma come è fatto il nostro sistema produttivo? il sistema produttivo italiano è composto da 4,3 milioni di imprese, di queste il 95% ha meno di 10 addetti; una presenza di micro imprese che non ha eguali in altri paesi. Le microimprese hanno assetti produttivi quasi molecolari con una struttura organizzativa e professionale di fatto inesistente o quasi artigianale: con bassa complessità gestionale, economica, tecnologica, con export quasi assente; queste caratteristiche ovviamente determinano, condizionano la domanda di lavoro ; è da ricordare che a partire dagli anni ‘70 la dimensione media delle imprese italiane si è ridotta;poi era di moda il “ piccolo e bello “ ; abbiamo quindi un sistema produttivo molto fragile, che non può permettersi eccessivi costi per strutturare una rete commerciale per l’export, per il ricambio dei macchinari, per aumentare la qualità del prodotto e della produttività ; non si può permettere l’assunzione di un ingegnere, di un economista….
Inoltre la presenza di pochi grandi gruppi industriali , grandi aziende ( le imprese con + di 1000 addetti sono circa 600 ); le imprese tra 250-1000 addetti sono 2.850) ha favorito un impoverimento gestionale-organizzativo del tessuto produttivo territoriale; minor dimensione riduce la complessità che necessariamente ricade anche sulla struttura professionale dell’occupazione, oltre sulle quantità occupazionali. In sintesi questi sono i problemi del sistema industriale, che verranno più analiticamente approfonditi da DiVenerdi nel seminario previsto il 26 gennaio 2018.
Si conclude questa nota con alcuni dati sul sistema produttivo di Genova e un confronto con alcune citta metropolitane del Nord.
La manifattura genovese ( dati 2014 istat ) con 4.121 imprese ( 6,2%) e 31.000 occupati ( 12,8%) è di fatto un settore ormai marginale.
il settore industriale nel suo complesso ( manifattura, costruzioni, fornitura energia elettrica, reti ,ambiente gas, acqua…) rappresenta il 19% delle imprese e il 22,7% dell’occupazione. Basti ricordare che nel 1951 gli occupati erano 127.000 ( il 52,7% degli occupati); Genova allora aveva occupazione complessiva molto vicino all’attuale ( 239.000 unità). Il tessuto produttivo genovese ha quindi subito un radicale, profondo, e irreversibile cambiamento. Anche la struttura occupazionale per tipologia professionale ha subito negli anni un significativo cambiamento in peggio. Genova è la città che ha ridotto la % dell’occupazione ad alta professionalità in modo significativo, mentre le altre città invece hanno incrementato questo tipo di occupazione sia nel settore manifatturiero che in quello del terziario.
Genova con 4.121 imprese rappresenta l’1% del totale imprese manifatturiere nazionali contro il 3,6% di Torino; il 5,4% di Milano; 1,9% di Bologna. Sono considerate dall’ Istat imprese ad alta tecnologia ( o high-tech) quelle appartenenti a determinate categorie definite da codici ATECO che si vedranno in seguito.
Genova ha 423 imprese high-tech, cioè lo 0,9% sul livello nazionale ; contro Torino con 5,3%; Milano con 9,8%; Bologna con un 3,9%; l’Italia con 46.109 imprese ha un 11,6% sul totale imprese manifatturiere. Se il confronto avviene sul totale manifatturiero cittadino , Genova ha un 10,6% di imprese high-tech, mentre Torino ne ha il 16,9%; Milano un 21,2%; Bologna 23,4% e a livello nazionale il rapporto è del 11,6%.
Come si vede negli anni il ridimensionamento della struttura industriale , comprensiva anche di quella pubblica, ha inciso pesantemente sulla struttura occupazionale in termini qualitativi oltre che quantitativi. Le altre città però sono cresciute! Ma la manifattura , pur in questo ridimensionamento, è ancora il settore produttivo che, nei confronti di altri settori di attività ( es il terziario), assorbe % più alte di risorse qualificate con titolo di studio terziario. E’ evidente che la struttura delle imprese condiziona pesantemente il mercato del lavoro sia per i volumi di risorse da assumere che la qualità delle Skill: i dati INPS confermano che oltre il 70% degli avviati al lavoro a Genova ( circa 10.000 unità anno ) hanno una medio-bassa qualificazione e a bassa scolarità
Ancora sulle imprese: a Genova il 98,4 % delle imprese manifatturiere si colloca nella classe 0-49 add; in questa classe le imprese hi-tech sono solo il 9,7%, contro quasi il doppio presente nelle altre città di riferimento.
Le imprese a Genova nella classe 50 add e oltre sono 66 cioè l’ 1,6% e di queste 28 sono considerate hi-tech; le altre città citate hanno valori e percentuali superiori.
Genova con un 10,3% di imprese higt-tech è sotto la media nazionale ( 11,6%);
Genova con 30.984 occupati rappresenta l’0,8% del totale occupazione del settore manifatturiero nazionale; contro il 5,9% di Torino; il 8,1% di Milano; il 2,7% di Bologna. In particolare gli occupati nell’high-tech sono a Genova l’1% del totale occupati in imprese high-tech Italia ( Italia 1.109.584), contro l’ 11,1% di Torino; l’ 11,5% di Milano ; il 4,1% di Bologna. Se il confronto avviene a livello di città a Genova il 36% sono occupati presso aziende high-tech, contro un 57,2% di Torino; un 43,1% di Milano ; un 46,2% di Bologna e un 30,4% di livello nazionale. I dati sono dell’Istat e si riferiscono al 2015.Questi dati rappresentano una drammatica verità della situazione genovese sul tema industriale ed è veramente difficile credere ai venditori di fumo che da 30 anni scommettono a parole su Genova capitale dell’High-Tech. La caduta complessiva e perdurante nel tempo del settore produttivo ( industriale e dei servizi ) sta collassando anche pezzi importantissimi delle istituzioni cittadine, una per tutte l’Università .
A Genova gli occupati in imprese high-tech nella classe dimensionale 0-49 Add sono 3.385, mediamente 10 punti in meno rispetto alle città evidenziate ; gli occupati in imprese high-tech nella classe oltre 50 Add e oltre sono 7.755 il 61%, le imprese con oltre 250 add sono 12 di queste 5 sono considerate High-Tech .A Torino nella stessa classe dimensionale sono occupati oltre il 73%. I principali settori classificati HT sono : farmaceutica, industria di prodotti chimici, fabbricazione prodotti elettronici, fabbricazione apparecchiature elettriche e di macchinari e qualche altro.
Come più volte evidenziato l’high-tech si declina con la classe dimensionale dell’impresa; la propensione all’innovazione risulta più elevata nelle imprese più grandi e nelle produzioni ad alta intensità di capitale, a contenuto tecnologico più elevato o caratterizzate da un maggior grado di sofisticazione del prodotto.
I settori ad alta intensità di conoscenze ( KIS) del Terziario.
Il primo settore per importanza è il Terziario. ( dati relativi alle imprese attive 2014 fonte Istat) con 53.702 imprese e 187.182 occupati è il settore produttivo maggioritario a Genova
Istat dal punto di vista classificatorio articola il terziario in attività ad alta intensità di conoscenze ( Knowledge intensive services-KIS) e in attività a bassa intensità delle conoscenza (less Knowledge intensive service LKIS). Le prime a loro volta hanno una sotto-articolazione ( High-tech KIS ); quest’ultime a Genova sono rappresentate da 1.471 imprese su 53.702, il 2,7% del totale terziario; a Torino da 11.500 imprese l’8,6%; a Milano da 12.000 imprese il 4,8%; a Bologna da 2.579 imprese il 3,6%. Sotto questo profilo la posizione di Genova è alquanto modesta ( appartengono a questa sotto articolazione: attività di produzione cinematografica 59, attività di programmazione e trasmissione 60, telecomunicazione 61, le attività di produzione di software, attività di consulenza nel settore delle tecnologie informatiche 62, attività di servizi di informazione 63, la ricerca e sviluppo 72, fonte istat).
Mentre attività terziarie ad alta intensità di conoscenze ( Knowledge intensive services -KIS) complessivamente sono: a Genova, 12.635 imprese su 53.702, il 23,5% ; a Torino sono 31.425, il 23,5%; a Milano sono 77.784, il 30,8%; a Bologna sono 19.074, il 27,1%.
La crescita delle attività terziarie ad alta intensità di conoscenze è anche il risultato delle modifiche organizzative avvenute negli ultimi 30 anni nei processi produttivi aziendali ( la filiera produttiva, come si è visto, si è accorciata con le esternalizzazioni, decentramenti produttivi , outsourcing; dalla verticalizzazione alla frammentazione della filiera; si acquistano dal mercato i servizi che precedentemente venivano prodotti all’interno dell’impresa, soprattutto se grande).
Come altre volte evidenziato l’high-tech-alta intensità di conoscenze si rapporta con la classe dimensionale dell’impresa; la propensione all’innovazione risulta più elevata nelle imprese più grandi e nelle produzioni ad alta intensità di capitale, a contenuto tecnologico più elevato o caratterizzate da un maggior grado di sofisticazione del servizio. Genova, rispetto alle altre città, in particolare Torino e Milano, ha una struttura di impresa anche nei servizi del terziario avanzato prevalentemente micro e piccole.
Tra le attività del terziario avanzato si evidenziano quelle che maggiormente forniscono-garantiscono servizi alle imprese in termini di occupazione ; a Genova tali servizi pesano il 12,1%; a Milano quasi il 20%; a Roma il 16,8%; a Torino il 15,1%.
. Genova ha anticipato le altre città di qualche decennio nei fattori più significativi: è diventata terziaria ( ma il suo terziario è prevalentemente di bassa qualità ); la manifattura è un po’un fantasma se confrontata rispetto ai tempi del triangolo industriale; aveva imprese internazionali di altissimo profilo , con complessità organizzative e una forza lavoro occupata ad alta scolarità; il sistema economico produttivo si è di molto impoverito, con scarsa attrattività in termini di investimenti e di risorse di qualità.
Quale possibile conclusione? In questo contesto ci è rimasto un patrimonio di 13.000 imprese ( manifattura e terziario) il 22,6% del totale imprese attive che occupano 37.000 risorse di qualità con il 17,1% degli occupati, patrimonio da valorizzare; patrimonio che non richiede consuma di territorio, ( sono prevalemtemente uffici, con modalità gestionali meno rigide che consentono flessibilità gestionali e organizzative come il smartworking)… che non richiede strutture di uffici particolari, perchè può convivere, qualificandola, con il centro della città come ha fatto 30-40 anni fa con numeri infinitamente più alti ( Italimpianti, Direzione Generale Italsider, Mira Lanza, Shell,Eni, Saiwa, assicurazioni, banche, Rina, Apollonia…)
Le imprese ad alta tecnologia o ad alta conoscenza , in quanto produttrici di beni e fornitori di servizi con un contenuto tecnologico molto prossimo alla frontiera dell’ innovazione, rappresentano i soggetti economici che meglio esprimono la capacità innovativa di questo territorio. I’innovazione è il risultato di un processo interattivo che coinvolge più soggetti, imprese, università, centri di ricerca, soggetti pubblici e finanziari; la loro forza è fare sistema. Il sistema produttivo genovese è ormai ai limiti e se crolla ancora un pò non ci può essere futuro.
1 Comments
Sergio Ernesto La Porta16 Gennaio 2018 at 16:28
Le analisi sono certamente importanti ma se NON portano a proposte concrete sono solo spreco di tempo ed energia.
ReplySergio La Porta.